Dopo aver esplorato in diversi spettacoli il mondo degli ultimi, dei reietti, degli esclusi e dei perdenti, in questa nuova produzione Carrozzeria Orfeo intende indagare il mondo del benessere e dell’apparente successo, attraverso il racconto dei primi, dei vincenti, della classe dirigente, dei ricchi, paradossalmente imprigionati nello stesso vortice di responsabilità asfissianti, doveri castranti, sensi di colpa e infelicità che appartengono a tutti e, quindi, frantumati da tutto ciò che la mentalità capitalista non può comprare: l’amore per sé stessi, la purezza dei sentimenti, gli affetti sinceri, la ricerca di un senso autentico nell’esistenza.
Salveremo il mondo prima dell’alba è il racconto della vita di alcuni ospiti in una clinica di riabilitazione di lusso, situata su un satellite nello spazio, nuova meta turistica dei super ricchi, specializzata nella cura delle dipendenze contemporanee, quali quelle affettive, sessuali, da lavoro, da psicofarmaci. Sono tutti vittime delle proprie dipendenze e del proprio egoismo, vie di fuga da una realtà opprimente. Ma dipendenze e riabilitazione costituiscono solo il sintomo esteriore di problemi più profondi ed esistenziali, di una sensazione di smarrimento comune a un’intera generazione.
Note di drammaturgia
Lo spettacolo vuole farsi metafora di un modello di vita ormai giunto a un punto di non ritorno, dove parole come comunità, umanità e gentilezza sono quasi del tutto scomparse e bandite, se non per essere strumentalizzate a fini propagandistici, elettorali e commerciali. Ciò che ne rimane è un’umanità confusa e impaurita, sopraffatta dall’ossessione di questo continuo doversi vendere, con il terrore che nessuno ti voglia comprare. Il tutto viene esplorato in pieno stile Carrozzeria Orfeo, grazie a un occhio sempre lucido e, forse, disilluso, che intende cogliere, con ironia e divertimento, i paradossi, le contraddizioni e le deformazioni grottesche della realtà, attraverso personaggi strabordanti di umanità, ironia e dolore. Lo spettacolo, in fondo, vuole raccontare una società sempre più triste, eppure, satura di foto felici in cui non sembra più esistere un luogo dove riconoscersi come soggetti autentici, né tantomeno in progetti sociali che richiedano la nostra dedizione e la nostra lealtà. Perché l’unico comandamento sembra essere quello di produrre: l’errore è bandito, la sofferenza individuale è percepita come una vergogna, una zavorra da nascondere agli altri, come segnale chiaro di debolezza e fallimento; mentre, in modo sempre più meschino e ingannevole, va affermandosi la nuova, eroica parola portavoce del capitalismo: resilienza, che, nel cinico pragmatismo di questo sistema malato, in fondo significa solo: “resisti nonostante tutto, ignora te stesso e il tuo dolore, nascondilo, non ascoltarti più e vai avanti. Produci, produci, produci”. E se non esiste limite alla produzione, anche individualmente, dai desideri soddisfatti nascono di conseguenza sempre nuovi desideri.