Una ricca programmazione di spettacoli per tutti, ma anche residenze creative, laboratori e incontri, nella proposta artistica e sociale curata dal Teatro Due Mondi.
Mercoledì 6 novembre inaugura la Stagione della Casa del Teatro di Faenza, dal titolo-tema un teatro di pace: «“Quando gridano i cannoni le muse restano in silenzio”: non vogliamo restare in silenzio, vogliamo dare all’arte voce e parole di pace» spiega Alberto Grilli, direttore del Teatro Due Mondi «Questo è il motivo della scelta del titolo, un teatro di pace, che accompagnerà tutti i progetti della prossima Stagione della Casa del Teatro, che sempre di più vogliamo definire come luogo di relazione, dialogo, confronto; uno spazio dove le storie e le culture differenti si incontrano e si intrecciano e dove ogni giorno si costruisce, su scala ridotta, quello che vorremmo fosse la normalità per tutto il Pianeta».
Il prologo, mercoledì 6 novembre, è con l’incontro Parlare di pace in tempo di guerra. Parteciperanno Maria Matteo di Assemblea Anarchica, la studiosa di teatro Cristina Valenti e il direttore artistico di Teatri di Vita Stefano Casi.
In programma fino ad aprile 2025 spettacoli di artisti provenienti da tutta Italia ma anche residenze creative, laboratori e incontri per tutti, secondo un’idea di arte e di cultura massimamente inclusiva e accogliente.
Alcune segnalazioni:
Teatro: il programma di spettacoli, fruibili a un costo di soli 2 euro, si apre con Zitti tutti! di Raffaello Baldini, interpretato da Denis Campitelli, in prima nazionale. Lo storico gruppo Teatro Tascabile di Bergamo proporrà Il principe dei gigli, mentre la compagnia Manimotò sarà in scena con Tomato Soap. Teatronovela sulla violenza di genere in un’unica puntata, spettacolo che attraversa i linguaggi del teatro di figura così come Lear e il suo Matto di Teatro Invito, rilettura shakespeariana per attore e burattini.
Spazio alla danza che suggerisce storie poetiche di umanità e fragilità con Luisa di Valentina Dal Mas, spettacolo vincitore del Premio Scenario Periferie 2023 ed Esercizi di Fantastica di Sosta Palmizi, creazione anche per ragazzi ispirata dal genio di Gianni Rodari e dalla Patafisica di Alfred Jarry.
Sono invece pensati in primis per i ragazzi gli spettacoli Candido, che il Teatro Due Mondi ha realizzato a partire dal romanzo filosofico di Voltaire, e Zizola. Ti voglio bene come il sale di Teatro Ippocampo.
Dopo gli appuntamenti serali, dialoghi fra artisti e spettatori moderati dal critico teatrale Michele Pascarella.
Dal 14 novembre, inoltre, la Casa del Teatro accoglierà la nuova edizione del laboratorio gratuito di teatro partecipato per tutte e tutti Senza Confini. Contro tutte le guerre.
Residenze d’artista: grazie al sostegno della Regione Emilia-Romagna la Casa del Teatro ospiterà, proseguendo un felice rapporto di collaborazione con l’Associazione Scenario, gli artisti Natiscalzi DT, Cicconi/Vono e Sea Dogs Plus. Nuovi appuntamenti in programma per la Residenza dello Spettatore, un’occasione di confronto, riflessione, elaborazione aperta gratuitamente a tutte e tutti.
La Casa del Teatro accoglierà anche tre spettacoli inseriti nella rassegna Teatri d’inverno a cura di Accademia Perduta/Romagna Teatri e, ad aprile, nuovi appuntamenti “a sorpresa” del ciclo KABARETT ’25 in compagnia del Teatro Due Mondi.
«La somma di tutto questo è la comunità in cui agiamo, è la nostra casa, il nostro orizzonte, il nostro percorso, il nostro vincolo» conclude Alberto Grilli
«Scriveva Dario Fo: “Un uomo che non partecipa alla vita della comunità, che si estranea, è un morto che cammina”».
Per gli spettacoli i posti sono limitati, prenotazione consigliata allo 0546 622999, alla pagina http://teatroduemondi.it/news/ oppure, il giorno dello spettacolo, al 331 1211765. Info: https://teatroduemondi.it/casa-del-teatro/ .
Zitti tutti è un testo teatrale in dialetto romagnolo scritto nel 1993 da Raffaello Baldini, poeta di Santarcangelo di Romagna. Sulla scena pochi elementi: una poltrona, un tavolino, una lampada, un armadio e “Lui”. Un uomo comune, vinto dal tormento e dalla nevrosi, che passa in rassegna la sua vita attraverso una cascata di parole implacabili e comiche, dolci e dolenti. Racconta di sé, del suo paese, della sua gente, dei suoi figli, di sua moglie, dei tradimenti, del suo essere un piccolo benestante profondamente, tragicamente, poeticamente normale. Quest’uomo vive finché parla. E quando il flusso s’inceppa, la mente e il cuore scoppiano di solitudine e le parole si strozzano in gola. Non gli rimane che reagire urlando disperatamente “Zitti tutti!”.
Luisa nasce dall’incontro con una fragile donna: “Incontrare Luisa ha segnato uno spartiacque ondivago in me che definisce e cuce il mio essere al mondo. Sono entrata battagliera nei contesti di cura, poi, sfiorando le fragilità fisiche, emotive, cognitive che possono dimorare nell’essere umano, ho esitato. Forse, pur essendo una danzatrice, avevo fatto il passo più lungo della gamba. Per mia fortuna, ho scoperto presto che le misure in quei luoghi seguono un disordine di grandezza fuori dall’ordinario. Così, mi sono accordata levante a quell’unità di smisura umana, facendomi gazza ladra di sfaccettanti bagliori appartenenti all’unico Sole umano. Che sia un gesto, una parola, una sorprendente qualità di movimento, un essere umano nella sua interezza.”
Uno spettacolo teatrale che nasce come riflessione artistica sulla figura femminile e sull’evoluzione del rapporto uomo-donna nella civiltà occidentale contemporanea. I movimenti culturali e le mutazioni socio-politiche della fine del XX secolo in Occidente, ci pongono davanti a una donna che rivendica per se stessa caratteristiche e ruoli assai diversi da quelli delle generazioni precedenti. Il lavoro si apre nel simbolo di una di quelle figure femminili, la Margherita Gautier della “Signora dalle camelie” e si sviluppa attraversando alcune suggestioni del femminismo contemporaneo. L’opera è strutturata come una rapsodia drammatica che si avvale di registri differenti: l’elaborazione di testi, il canto e il movimento.
In Vestfalia, in uno splendido castello di proprietà del Barone di Thunder-Ten-Tronckh, vive un giovane dal carattere ingenuo e sincero, di nome Candido… Così inizia il libro delle avventure di Candido, immaginario protagonista a cui Voltaire affida il compito di dimostrare ai filosofi del suo tempo – e a noi, che ancora lo leggiamo – per quale ragione il mondo in cui viviamo non sia il migliore dei mondi possibili. Lo spettacolo segue i viaggi di formazione di Candido che lo portano, in un batter d’occhio, dalla Bulgaria a Buenos Aires, dall’essere soldato e poi marinaio di un bastimento in rotta per Costantinopoli, fra amori disperati e amicizie autentiche. Solo noi possiamo far migliore il nostro mondo. Con l’impegno, lo studio, la partecipazione alla vita, facendo ciò che amiamo con le persone che amiamo.
Una casa grigia. Tre personaggi grigi. Annoiati, scialbi e obnubilati dal mezzo tecnologico, si muovono come prigionieri di un meccanismo prestabilito, il loro sguardo è sempre rivolto agli schermi. Ma ecco una farfalla che sposterà il loro sguardo altrove e farà diventare la casa un teatro di trasformazioni. Un crescendo di emozioni e peripezie in cui i personaggi riscopriranno il potere della fantasia, in un continuo gioco a liberare i corpi e le menti. Lo spettacolo racconta, con il linguaggio della danza e del movimento, il potere dell’immaginazione che trasforma cose e persone in qualcosa di straordinario. Gli autori sono stati ispirati dall’idea di “Fantastica” di Gianni Rodari e dall’opera di Alfred Jarry e la sua patafisica (la scienza delle soluzioni immaginarie). Rodari affermava infatti l’esistenza di una Fantastica in totale contrapposizione alla Logica.
Lo spettacolo porta in scena la violenza di genere raccontando la storia di un uomo e una donna. Seguiamo le vicende di Gianni e Gilda dal loro primo incontro, l’innamoramento, la costruzione di una vita insieme, fino a diventare testimoni della prepotenza con cui la violenza diventa protagonista. Gianni e Gilda sono due pupazzi di gommapiuma a grandezza umana, marionnettes portées, manipolate a vista. Ma la storia dei pupazzi è anche il gioco di una coppia di performer, che sotto gli occhi del pubblico scambia le carte, invertendo i ruoli. A dispetto della gravità del contenuto, TOMATO SOAP utilizza un linguaggio lieve, visuale, ironico, muto, accompagnando il pubblico al limite della risata, là dove la tragedia diventa
Lo spettacolo fa parte di un percorso sulla poetica e la cultura del cibo. I protagonisti della fiaba sono re, principi e principesse, con Zizola, la più piccola delle figlie del re, che rischia di perdere gli affetti e la vita per via del sale. Una volta, al tempo della fiaba, il sale era un elemento prezioso perché serviva a conservare gli alimenti. Un brutto giorno Zizola osa paragonare il sale all’affetto per suo padre, il quale, sentendosi molto offeso dalla figlia, la caccia dal palazzo reale. Evidentemente il Re non aveva mai cucinato e non conosceva il valore del sale, ma dalla sua ignoranza e crudeltà inizia per Zizola una meravigliosa avventura, che la porterà ad incontrare l’amore della sua vita. E nella tavola imbandita del suo matrimonio la storia si trasforma in una lezione di cucina e d’amore per suo padre il Re.
Leggendo Shakespeare ci si imbatte in una realtà fatta di contrasti: l’alto e il basso, l’elevato e il volgare, il comico e il tragico. Nella sua tragedia forse più cupa, Re Lear, Shakespeare toglie allo spettatore ogni certezza, ogni punto fermo: il re dialoga con il suo matto e non si capisce chi dei due sia il matto; i figli apparentemente buoni sono cattivi e viceversa. I personaggi reagiscono in modo infantile, sembrano burattini nelle mani del destino: “Come mosche tra le mani di ragazzini crudeli noi siamo per gli dèi”. Perciò in questo spettacolo la scena elisabettiana è stata ridotta a una baracca di burattini dove il Re Lear è un attore in carne e ossa che dialoga con i suoi fantasmi scolpiti nel legno, dove il dramma è farsa e balletto indemoniato delle teste di legno..
Lo spettacolo andrà in scena alla Casa del Teatro di Faenza (via Oberdan 9/a).
Si ringrazia il Teatro Due Mondi per la collaborazione.
Il nostro martello è in mano a mia figlia è una storia familiare senza tempo. Sarah e Hannah sono due giovani sorelle che si trovano a prendersi cura della bisognosa madre malata dopo che il padre le ha lasciate. La donna, per sopravvivere, si appiglia ai ricordi di tempi migliori che si materializzano nel camioncino del marito e in Vicky, una pecora che l’uomo le aveva regalato e che ora lei tratta non come capo di bestiame ma come animale domestico. Sarah ed Hannah sono molto diverse. L’una assennata e premurosa, l’altra irrequieta ed indipendente. Vivono però la stessa oppressione rispetto alla situazione che le circonda. Entrambe sognano di lasciare la piccola cittadina tra le praterie che le tiene prigioniere. Il dramma familiare presto si tinge di thriller, evolvendosi in un susseguirsi di azioni violente dalle quali è impossibile tornare indietro. Durante la cena di compleanno della madre, una goccia fa traboccare il vaso della sopportazione nei confronti della donna e le due sorelle perpetrano una serie di brutalità sull’indifesa pecora Vicky.
Il testo concede l’opportunità di affrontare temi intramontabili quali la difficoltà dei rapporti familiari e l’incidenza di questi sul destino di un individuo. Tutto quello che si fa appare condizionato e quando lo si fa sembra che qualcuno l’abbia già fatto prima, che ce l’abbia insegnato senza insegnarcelo. Si sviluppa un’analisi sulla ciclicità dei ruoli familiari che vengono tramandati involontariamente di generazione in generazione quasi come patrimonio genetico. Da questi non si esimono le colpe dei padri che condannano inevitabilmente i figli. Nel tentativo di spezzare questa catena, nel testo, si ricorre a un atto estremo e irreparabile. La violenza con cui si decide di affrontare la situazione è un tema più desueto e inquietante. Così inquietante perché più vicino alla nostra natura di quanto effettivamente si voglia ammettere. Per quanto la civilizzazione cerchi di progredire, la brutalità non abbandona l’uomo e si riattiva con impeto e facilità sorprendente. Ancora più interessante è questa violenza di mano femminile. Culturalmente si è meno inclini ad attendersi violenza da una donna, culturalmente una donna è meno incline ad esprimersi con violenza. Questo non vuol dire che le manchi un tratto naturalmente aggressivo. Grazie a questa operazione si coglie l’opportunità di elaborare un aspetto spesso represso e non gestito della personalità femminile.
Hannah e Sarah raccontano la loro storia in una serie di monologhi che si intrecciano e si completano. Il mancato scambio di battute dirette, traduce una reale assenza di comunicazione tra le due o forse è solo quello che vogliono far credere?
Lo spettacolo andrà in scena alla Casa del Teatro di Faenza (via Oberdan 9/a).
Si ringrazia il Teatro Due Mondi per la collaborazione.
Mia e Lucio si conoscono un pomeriggio nel reparto di oncologia dell’ospedale locale.
Hanno rispettivamente 37 e 40 anni. E se non fosse che sono entrambi terrorizzati dall’idea di morire, si accorgerebbero subito che non si tratta di un incontro qualunque.
Ma come si fa a riconoscere la vita mentre si sta guardando in faccia la morte? Ed è possibile immaginare
un futuro se non si è sicuri di avercelo?
È più o meno da qui che Bianco parte per raccontare l’incontro tra due anime che, per potersi afferrare, devono prima di tutto riuscire a restare attaccate ai propri corpi.
LA MELANINA COME CLESSIDRA DELLA DURATA DELLA VITA _
Note a margine
Col passare degli anni, quando il tempo davanti appare sempre meno e i capelli pian piano si imbiancano, si tende a guardare al passato, rifugiandosi proustianamente nei ricordi, alla ricerca di un tempo perduto che, col pensiero e la tinta per capelli, ci si illude di poter ritrovare. È questo il modo in cui funzionano più meno tutti gli esseri umani, almeno quelli che hanno la fortuna di invecchiare.
Ma se in età giovanile ci si trova davanti a una diagnosi spaventosa, allora tutto cambia. E la vita si trasforma in una disperata ricerca del tempo futuro, un tempo sconosciuto e attraente, dalle tinte forti, al quale è impossibile pensare di rinunciare. E a quel punto persino la vecchiaia viene idealizzata. Che poi in
fondo, a pensarci bene, la durata della vita è appena sufficiente ad elaborare l’idea della morte. E la vecchiaia, da molti, vista come un’ingiusta punizione, è in realtà una fedele alleata, che col suo carico di bruttezza e sofferenza, ci aiuta a separarci dalle gioie e dalla bellezza per renderci più sopportabile la fine.
Bianco affronta dunque il tema del tempo e di come la malattia ne modifichi la percezione.
E lo fa con un tono leggero, l’unico adatto ad affrontare certi argomenti.
Si tratta quindi di una commedia che, come tutte le opere che non si prefiggono come fine unico il puro
intrattenimento, cerca (invano) di trovare un senso alla nostra presenza su questo pianeta.
o spettacolo andrà in scena alla Casa del Teatro di Faenza (via Oberdan 9/a).
Si ringrazia il Teatro Due Mondi per la collaborazione.
“Quando tutto finirà sarebbe meglio non tornare come prima. Quando tutto finirà sarebbe meglio garantire la difesa della salute delle comunità e del pianeta e ridare peso al sapere. Riorganizzare in modo civile la divisione dei compiti e dei ruoli. È tempo di una qualità diffusa e facilmente eccelsa.”
Queste parole sono tratte dall’ultima email che Saturno “Nino” Carnoli, dodici giorni prima di morire, ha inviato ai suoi amici più cari. Una vocazione e un’attitudine testarda a rimanere pensante fin sulla soglia. Era il marzo del 2020, prima ondata di Covid, l’Italia resta a casa, gli spostamenti fuori dalle mura della propria abitazione sono permessi solo in casi rarissimi.
Questa azione teatrale ha il compito di ricordare Nino Carnoli che, come si comprende anche dal suo ultimo scritto, ha vissuto sentendosi sempre parte di un NOI. Una vita furiosamente cittadina, ravegnana, che non ha perso mai i legami con il mondo, dalla Parigi del maggio del ’68 a Pompei dove si fece promotore e interprete della riproduzione di un antico mosaico. Una vita spesa tra politica, arte, artigianato, ricerca storica, insegnamento, editoria, grafica. Una vita anarchica. Vitale fino alla fine, sempre che ci sia una fine. A Ravenna è stato etichettato per lo più come provocatore. Nulla di più falso e banale.
Abbiamo scritto il testo dopo una richiesta bellissima e inaspettata della sua compagna. Abbiamo accettato di getto. Poi sono passati due anni in cui riflettere su quella decisione istintiva per arrivare a uno scritto che parlasse a tutti, ravennati e forestieri.
Avevamo entrambi qualcosa da dire. Cesare per avere avuto con Nino una profonda amicizia e una prolifica produzione di scrittura narrativa e saggistica negli ultimi dieci anni. Luigi per avere misteriosamente intessuto, lungo tutta la sua vita, un legame con lui, una appartenenza alla medesima schiatta di artigiani, artisti, narratori, politici, storici, ribelli e costruttori.
Dopo Vitaliano Ravagli, il Vietcong romagnolo, e Marco Pantani, attraverso la scrittura di Marco Martinelli, Saturno Nino Carnoli è la terza figura di uomo romagnolo che Luigi si trova ad affrontare. Il primo scoperto, grazie a Renata Molinari, leggendo un romanzo dei Wu Ming, l’altro noto in tutto il mondo, e ora Saturno, conosciuto da sempre e riscoperto attraverso le sue opere, i suoi libri e le parole di molte persone che hanno sentito il bisogno di dare testimonianza del rapporto che le legava a lui, del proprio debito affettivo e morale nei suoi confronti.
Un rito della memoria, una narrazione, un teatro di oggetti, di figure, di dipinti. Un cerchio unico per attori e spettatori, tutti immersi nella stessa luce. Quando tutto finirà sarebbe meglio non tornare come prima. (Cesare Albertano e Luigi Dadina)